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Arnaut, un inglorioso critico teatrale, grazie a un vecchio libro di uno scienziato del sonno, scopre il modo di vivere i sogni in totale coscienza. Grazie a questo espediente malnato eccolo allora convincersi a capofitto in un baratro di elegante sfrenatezza, dividendosi fra il mondo concreto, sapido di invidia per l'amico Cadamosto e la sua amante Neiva, e intriso di sdegno verso tutto ciò che si dimostra pragmatico, realista o necessario; e un mondo intessuto dal groviglio mutaforma dei suoi sogni, profumato d'amore per quella visione che ha nome Berenice. In un universo doppio, sospeso in tempi e luoghi indefinibili, si recita questo esagerato melodramma, spassionato, sbruffone e pigro, vizioso e infantile, sulla cui ribalta si affanna il solo Arnaut, commiserandosi, districandosi fra l'una e l'altra parte con languida indolenza. Superbamente convinto di poter giostrare a suo piacimento gli eventi, scandagliando le pieghe più oscure di entrambi i mondi e lasciandosi trasportare dal fascino della finzione, egli è consapevole della rovina verso la quale si sta lasciando trascinare, ma, carmagnolescamente, accetta il suo destino, in nome della bellezza del dramma.