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Era la sera del 25 settembre 1988. Sulla strada statale 640 che conduce da Agrigento a Palermo, un agguato di mafia uccise con 46 proiettili Antonino Saetta, Presidente della prima sezione della Corte di Appello e suo figlio, mentre in auto tornavano a Palermo. Una triste storia di mafia. Il giudice Saetta, sentendosi in pericolo durante quel processo, aveva chiesto di essere trasferito ad altra Corte d'Appello, ma la sua richiesta non venne accettata: era necessaria la sua presidenza proprio in quel luogo e in quel processo per il suo equilibrio e il suo amore per la giustizia. Aveva obbedito, pur vivendo nel timore della morte violenta, e aveva condotto a termine quella fase del gravissimo e difficile processo con la coscienza e con lo scrupolo che gli erano abituali. Non lasciava trapelare le sue preoccupazioni ma quel giorno stesso dell'agguato, in famiglia lo notarono più pensieroso del solito. Forse era stato avvertito da oscure minacce. È stato definito un eroe, un martire della giustizia. Questa consapevole accettazione del pericolo da parte del giudice Antonino Saetta, la sua fedeltà al dovere senza chiedere né scorta, né altre forme di protezione è stata una scelta di eroismo e queste pagine vogliono rendere omaggio a questa figura di magistrato che lucidamente ha accettato di percorrere una strada di cui conosceva fin troppo bene il traguardo finale e che ha coinvolto suo figlio.