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Dunque le poesie di Falcomer restano come registrazione del caos epocale, di questo formicaio alienato che si dibatte su solchi pre-tracciati, su pensieri chips, su comportamenti teleguidati, su calci mediatici per i polli d'allevamento intensivo, per questo grande mattatoio al di qua e al di là del mare. E lo fa il solitario Falcomer con i suoi strumenti naturali multisensoriali: la risata sboccata, la malinconia trattenuta, la disperazione dichiarata. Tocca le corde dell'espressione multiforme come sfiorasse ferite dolenti ma dipende, ogni volta, con che tipo di tocco: se sfiora, fa solletico e si ride, se il tocco è più deciso, è un affondo nelle tue ferite purolente, se sfuma è la malinconia che ti saluta e se ne va nei suoi chiusi silenzi. È Falcomer, il giocoliere che al posto delle clave lancia in aria le parole con rara bravura stupefacente e quando sbaglia e una clava cade sulla pista di questo circo anarchico, è solo perché vuole che quella clava ti finisca in testa. (Dalla Prefazione di Mauro Macario)