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Le poesie contenute in "La mimica dei mondi" vorrebbero proporsi come piccolo, forse anche modesto, se non misero itinerario in versi alla ricerca di quegli insoliti frammenti di quotidiana esistenza in cui pare, per pochi eletti istanti, venire meno la frattura che ci isola in monadi rumorose e sorde, impossibilitate a recepire o in un certo senso, a decifrare il richiamo assoluto e sovraindividuale del mondo intorno e dentro di noi. Una sorta di laico misticismo poetico che si presentifica attraverso il tentativo, ingenuo e malinconico però, di ricreare l'alfabeto delle relazioni tra sé e altro da sé, tra io e mondo, accordando i sensi ai suoni e al ritmo profondo della Terra, delle stagioni, del tempo presente e del passato: estremo valico che si vorrebbe poter attraversare con lo strumento, che si sa essere un po' spuntato probabilmente, della poesia. La silloge si articola in due sezioni, ciascuna introdotta da un piccolo corsivo proemiale, non prive di richiami e parallelismi, il lessico volutamente medio, con qualche rara ricercatezza accostata a termini di registro colloquiale va a comporre, in una sorta di stridore dei sensi, un tessuto espressivo allusivo e metaforico, in cui le dimensioni del suono e dell'immagine talvolta sembrano prevalere su quella del senso; che continua a restare il più delle volte ineffabile, sfuggente allo stesso io lirico, che continua, quasi come per un "vizio esistenziale" a cercarlo mediante l'insistito dialogo poetico con un Tu desiderato e lontano, altrettanto enigmatico e sfuggente.