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Nel libro sono raccolti nove studi carducciani, dei quali per la verità solo uno è inedito, mentre gli altri otto sono apparsi su riviste negli anni tra il 2008 e il 2019. Ma in realtà anche sugli articoli già pubblicati l'autore è intervenuto su varianti e aggiunte talvolta anche rilevanti, cosicché egli pensa di poter onestamente affermare che anche i saggi "vecchi" contengono novità. Marco Sterpos è anche convinto che questi studi, sia pur scaglionati nell'arco di dodici anni, non costituiscano una mera somma di saggi, ma sviluppino un discorso coerente e organico. Il primo capitolo è dedicato alle idee del Carducci giovanissimo, tra gli anni 1854 e 1857, come educatore e promotore dell'educazione popolare. Il secondo tratta invece del giudizio morale nella poesia carducciana, che si esprime nell'opposizione tra gli aggettivi «pio» e «reo». Nel terzo l'autore mette a confronto le «rime aspre e chiocce» di Dante con il verso che Carducci scelse per la sua poesia satirica e battagliera, che egli chiamò «roggio», concludendo che nel forgiare questo verso Giosue ebbe ben presente la lezione di quelle «rime» dantesche. Il quarto capitolo tratta delle teorie linguistiche di Carducci e della sua aspra polemica col «manzonismo de gli stenterelli», rappresentato da personaggi come il Bonghi e il Broglio, ma anche con lo stesso Manzoni. Seguono poi due capitoli dedicati a lettere scritte a Carducci da persone a lui vicine o vicinissime e riemerse negli anni più recenti: quelle rimaste dell'amata Lina (capitolo V) ed una del marito di lei il generale Domenico Piva (capitolo VI). Nel capitolo VII l'autore tratta dei «grandi comunicatori» nella poesia carducciana, cioè di personaggi, tra storici e leggendari, che Carducci fa parlare attribuendo loro grandi doti oratorie capaci di affascinare gli uditori. L'ottavo capitolo è dedicato alla storia e alla geografia del Piemonte in Carducci e intende mostrare l'immagine che il poeta (ma anche il prosatore) ha della regione nei suoi aspetti geografico paesaggistici e nella sua storia, e il ruolo di grande protagonista che egli riconosce al Piemonte come patria di Alfieri e stato attorno a cui si è potuta realizzare l'unità d'Italia. Infine il nono capitolo è dedicato alla raccolta dei dodici sonetti del "Ça ira" nella quale Carducci maturo e ormai tornato all'ovile monarchico torna a sacrificare alle "muse della barricata" e al mito della "grande rivoluzione", con una "rappresentazione epica" degli storici avvenimenti del grande e terribile mese di settembre 1792 che fece nascere la repubblica francese.