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Nel XVII secolo la Repubblica di Genova è uno Stato in fermento, sempre più insofferente al legame con la Spagna e desideroso di affacciarsi su nuovi sbocchi commerciali globali. Con il portofranco del 1654 il governo genovese apre le porte all'immigrazione ebraica, vista come un importante tassello per rilanciare i traffici con il mondo ottomano. La devastante peste del 1656-57 mina irrimediabilmente le ambizioni genovesi ma non ferma l'arrivo in città degli ebrei, che danno vita a una comunità fragile, la cui esistenza sarà più volte messa in discussione negli anni a venire. Le vicende di una minoranza religiosa in continua negoziazione con le autorità cittadine diventano la chiave di lettura per interpretare la delicata stagione politica, economica e sociale di una piccola repubblica che, nel panorama europeo degli Stati "nazionali" e assolutisti, rappresentava essa stessa una minoranza. Parallelamente, sono messe in luce parabole personali e dinamiche collettive all'interno di una comunità ebraica che, sebbene per decenni non sia riuscita a radicarsi e a prosperare come accadeva in altre realtà italiane ed europee, dimostrò grande attitudine alla resilienza e una continua capacità di rinnovamento.