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Era l'estate del 2005, internet esisteva da anni e i social network si apprestavano a cambiare le regole della comunicazione. Eppure, quella mattina, la confraternita della macchina da scrivere marciava senza esitare, legione di piombo e acciaio, verso il grande magnete della scuola di giornalismo, piena di fede nella celebre frase di Barzini: «Fare i giornalisti è sempre meglio che lavorare» Pensato come un racconto sul precariato nel settore dell'informazione, intrecciato con un reportage dagli uffici di una misteriosa agenzia postale, questo libro non è solo uno sconsolato lamento sulla società del lavoro flessibile, ma anche un diario sui sogni delusi e sulla sete di libertà di quanti sono diventati adulti mentre il mondo intraprendeva radicali trasformazioni. E per i quali, forse, più che un romanzo di formazione - quale quest'opera potrebbe essere - si addice un romanzo di "deformazione".