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Anche Nhalbar, dall'altra parte delle sbarre arrugginite, contrastava visibilmente con quell'oscuro scenario. Seduto a gambe incrociate, gli occhi chiusi e le mani giunte in preghiera, con la sua candida chioma e l'abito bianco orlato d'oro splendente, emanava tanto chiarore da sembrare una luna piena nel buio grembo del firmamento. Rispose prima ancora di aprire gli occhi per incontrare quelli del sovrano: "Voi mi chiamate così, ma il Ladro Bianco è solo una delle maschere che ho indossato. Solo uno dei nomi che mi sono stati cuciti addosso. Prima ancora sono stato chiamato principe. Ora mi chiamano druido, ma in un'occasione mi sono spacciato persino per imbalsamatore. Però chi sono io davvero?". Fu con quell'ultima domanda che le intense pupille di Nhalbar, incorniciate da iridi bionde come corone di raggi di sole, si piantarono nell'anima del re. "Qual è il tuo nome?", chiese l'altro vagamente turbato da quel mistero. "Questa è la domanda sbagliata, sire. Non lasciatevi fuorviare da chi io sia, ma cercate di comprendere in nome di chi io sia venuto. Poiché non vengo per me ma per conto di un altro".