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Il disinganno, come dice Francisco de Quevedo, è qualcosa che nel mondo tutti dicono di volere, ma una volta ottenutolo nessuno vorrebbe trattenere presso di sé, disperando e maledicendo chi ce l'ha dato. Il desiderio di estrema lucidità, di sottrarsi all'incanto delle false credenze, delle parvenze e delle opinioni che illudono facendoci vivere immersi in realtà apparenti e fittizie, fa parte delle avventure della coscienza umana. La nostra mente non potrebbe funzionare senza storie e narrazioni che guidino il nostro pensiero e le nostre vite. Liberarsene del tutto è impossibile e nemmeno auspicabile. E tuttavia resta che questo possa diventare per molti un compito imprescindibile sebbene disperante dell'intelletto. Ciò vale grandemente per coloro che - in realtà senza soverchi patemi, e anzi con gioia - perseguono lo spirito scientifico. Vi sono stati però anche dei poeti che evocarono la Musa proprio perché facesse dire loro tutta la verità. E la verità, in certo senso, non richiede forse l'affrancarsi almeno tendenziale dall'inganno? E la poesia in quanto tale, come la letteratura e gran parte di quello che l'uomo produce con il suo sapere e la sua intelligenza, non è forse essa stessa produzione di mondi fantastici che si ripropongono come interpretazioni della verità e superamento della non verità? Le liriche qui raccolte tendono soprattutto a riferirsi a una tale controversa consapevolezza.