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Queste pagine non hanno la pretesa di un discorso apocalittico sul momento virologico che stiamo vivendo, neppure intenti edificatori o consolatori, ancora meno finalità accademiche, pregne di tecnicismi filosofici. In realtà, cercano di intercettare in qualche modo, alla luce di pudiche briciole di filosofia, il segno aspro, duro, profondo che ci ha lasciato questo tempo. Una riflessione che muova dal modo di vivere casalingo l'angoscia del contagio, sulla base delle cose, delle posture, dei volti, delle dinamiche relazionali attorno a cui si coagulano le nostre case, proponendone la lettura per voci. Un esercizio filosofico che richiede un pathos che lo animi e lo sostanzi: lo stupore, una sorta di stordimento, di ammirazione mista a sgomento, da cui germina la nostra apertura sulle cose e il senso che attribuiamo loro.