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La trilogia di Moscardino, opera tra le più note di Enrico Pea, è stata per decenni al centro di un dibattito critico ostinato. Questo studio ne ripropone il problema esegetico attraverso i concetti di reticenza e dissimulazione, che interpretano l'affabulazione sfuggevole, il riserbo informativo, il fraseggio lapidario di Pea non come irregolarità estrose, ma quali scelte stilistiche consapevoli, causa al tempo di ricezione ardua e di irriducibile fascinazione critica. L'indagine cerca infatti di focalizzare i caratteri fondanti e gli esiti estetici di tale duplice identità formale. Fra questi spiccano l'influenza sul giovane Pea della prosa biblica, nella versione riformata ed espressivamente marcata del lucchese Giovanni Diodati, e il coinvolgimento attivo del lettore in una ricerca di senso mai doma lungo tutto il corso dell'opera. Si palesa così la sostanziale novità di un progetto narrativo che riscopre le ragioni di una forma, il romanzo, di cui Pea anticipa a suo modo il rilancio sulla scena letteraria italiana del primo dopoguerra, con autori come Tozzi o Svevo. Un equilibrio tra modernità di visione e audacia stilistica che rappresenta un tassello irrinunciabile della nostra prima modernità letteraria, sulle cui pagine è forse il caso di tornare.