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È un termine oggi molto utilizzato per indicare nuove forme di disagio, di malessere e di sofferenze vissute da persone, famiglie e istituzioni. Realtà diffuse e spesso sommerse più di quanto si creda. Infatti, la vulnerabilità appare una condizione legata a un forte indebolimento dell'integrazione sociale (precarietà del lavoro, un'economia ingovernabile globalizzata, corruzione politica, crisi educativa, disorientamenti dell'etica...). È un «malessere» legato ai (falsi) miti del «farsi da sé», dell'efficacia e dell'efficienza, dell'autorealizzazione e delle prestazioni, del culto dell'«io» e dei vantaggi individuali e del merito. Chi si crede perfetto non perdona e nemmeno si perdona. La vulnerabilità diventa così un tormento da combattere e da eliminare in qualsiasi modo. Non vogliamo vedere la fragilità altrui per non dover prendere atto della nostra. Quale il rimedio? Coltivare i legami e praticare la solidarietà, imparando a riconoscere le fragilità come opportunità: l'incompiutezza dell'esistenza è alla base di qualsiasi approccio alla bellezza del vivere. Bisogna oggi imparare anche a usare un linguaggio comune per non creare confusione tra concetti che vanno tenuti distinti: povertà, fragilità psicologica, precarietà sociale, rischio, emarginazione. «CredereOggi» offre un fascicolo che sostiene e accompagna l'impegno di coloro che - cristiani o meno, parrocchie, istituzioni, onlus, enti e gruppi, volontari, educatori... - sono impegnati a rispondere e soccorrere le debolezze e le precarietà odierne.