Tab Article
Quando Paul Valéry pubblica il suo primo libro di versi, la "Jeune Parque" (1917), ha ormai quarantasei anni: strana età per un esordiente che si era sentito vocato alla poesia fin dalla prima adolescenza e che, fra il 1887 e il 1892, aveva scritto un gran numero di versi estetizzanti e simbolisti, molti dei quali apparsi sulle più note riviste del tempo. Tutta colpa della crisi vissuta nella nuit de Gènes (1892), quando Valéry delibera per sé un nuovo e meno doloroso programma di vita? In lui il desiderio della poesia aveva sempre dovuto combattere con la potenza dello spirito, lo spirito nudo e fiero il cui vantaggio è quello di restare perennemente in sé, privo di volgarità e di errore. Il silenzio pubblico di Valéry, equilibrato in segreto dall'enorme lavoro dei Quaderni, nasce da questa brutale constatazione: il potere di fare è più eccitante di ogni creazione. Wagner, Poe, Mallarmé resteranno per sempre i phares di ogni suo pensiero; ma ogni suo pensiero si sarebbe consumato, per anni, nell'analisi di quei poteri che Valéry detestava e amava in egual maniera. Che cos'è la poesia? Rispondendo, Valéry farà capire di amarla in quanto fonte e non fiume, una Castalia così pura da restare per sempre sotterranea. Ed ecco spiegato, in parte, il destino del poeta, amato dalle avanguardie come dall'ermetismo fiorentino: egli potè apparire, contemporaneamente, come Orfeo e come Mefistofele... Introduzione di Maria Teresa Giaveri.