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L'autore inserisce la crisi del Mezzogiorno nel dibattito sull'austerità in Europa. E compie una vera narrazione del "Masterplan" per il Sud. Smentisce il laburista olandese Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, secondo cui, i meridionali europei dilapidano i prestiti "in donne e alcool". Per esempio, il Fondo Sviluppo e Coesione è un fondo italiano destinato per l'80% al Mezzogiorno. L'Italia, con la «manovra» 2017, aumenta la dotazione del Fondo da 38 a 46 miliardi: nel contempo rinvia la spesa di 35 (di quei 46) miliardi a dopo il 2020. Un rinvio uguale a un taglio per il Sud. Perché? Per raggiungere il pareggio strutturale di bilancio nel 2019. Volendo risalire alla genesi, il volume ripercorre la storia dell'austerità dal 1992 ad oggi con l'attuale versione del Patto di Stabilità: dopo il suo irrigidimento nel 2011-2012 tramite il Fiscal Compact, il Two Pack e il Six Pack, il Patto ha ridotto la possibilità di indebitarsi per investire. L'austerità teutone allarga il divario Nord-Sud. Il Governo inaugura la variante di valico dell'A1 ma non completa le tre ferrovie principali al Sud: la Napoli-Bari-Lecce-Taranto, la Salerno-Reggio Calabria e la Messina-Catania-Palermo. L'austerità blocca gli investimenti e favorisce l'abbandono del Mezzogiorno. La classe dirigente meridionale investe poco e male gli unici soldi disponibili. Fino al 2023 il Meridione avrà 93 miliardi: come auspicato da Adriano Giannola nel dialogo conclusivo, occorre investirli in un Piano di sviluppo che crei lavoro vero. Nel segno di Giuseppe Di Vittorio. Prefazione di Marcello Minenna.