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In un particolare momento storico, in cui i modelli tradizionali della progettazione urbana entrano in tensione con forme temporanee e fragili di trasformazione, questo libro presenta i frutti di una ricerca che tenta di sottrarre il progetto urbano dall'immediatezza del suo risultato finale e, al contempo, di collocarlo entro i fenomeni complessi delle città. Background fa dunque riferimento costante all'orizzonte urbano della città intesa appunto come uno sfondo - quello che Aldo Rossi chiamava «scena fissa» -, e racconta così soprattutto il progetto del vuoto urbano, pensato non come assenza, bensì come campo aperto completamente disponibile, supporto e condizione necessaria per accogliere libere forme di appropriazione dello spazio. I progetti qui selezionati di Bernardo Secchi e Paola Viganò ad Anversa, Assemble a Liverpool, Atelier Bow-Wow a Tokyo, Raumlabor a Berlino, TVK a Parigi, Janette Sadik-Khan a New York, Bas Smets a Bruxelles, Urban-Think Tank a Caracas sono esempi di come l'architettura del vuoto possa reagire con le molteplici intelligenze, culture, storie e comportamenti globali dell'«iperpresente». Tuttavia, come scrive Matteo Robiglio nella postfazione, quella di Nicola Russi è una «mossa del cavallo che abbandona pretese ma non ambizioni. Riconosce che non esiste più una dimensione nazionale delle questioni, una condizione specifica italiana dell'operare (anche questa: scelta liberatoria da un provincialismo ammantato di denuncia) e propone otto lezioni internazionali ma profondamente pertinenti all'operare in Italia».