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Il volume esplora la costruzione di geografie della separazione, dell'esilio e della distanza nella scrittura di autrici arabe anglofone. Le diverse posizioni geo-culturali dalle quali scrivono le autrici prese in esame ri-configurano la cartografia delle migrazioni dal Mediterraneo all'Europa, alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, offrendo le tracce di tali spostamenti come i segni di nuovi confini, sempre mobili e soggetti all'indefinitezza della traduzione. L'analisi dei testi in oggetto si muove, dunque, dall'Egitto, al Marocco, alla valle del Giordano, alle sponde del confine arabo-israeliano e alla terra occupata della Palestina, fino al suolo inglese e alla dislocazione statunitense, passando per i corpi velati delle donne attentatrici suicide: le voci e i corpi delle narratrici che percorrono cammini di migrazione, esilio ed esplorazione risuonano nelle mappe instabili della contemporaneità. I confini tra le nazioni si confondono così nella liquidità, materiale e metaforica, del Mar Mediterraneo, che trasporta e "traduce" nel passaggio i corpi e le storie migranti, producendo una narrazione critica dei concetti di identità e di nazione.