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"Mentre scrivo mi scrivo", ha detto Paul Valéry. Ma cosa si scrive quando si scrive? Montaigne ha dato una risposta perentoria a questo interrogativo affermando che, alla fine di tutto, "sono io stesso la materia del mio libro". L'autore di questo libro, "Scrivere", si è messo ugualmente in gioco in un percorso in cui l'io - il proprio io - si costituisce nel movimento stesso della scrittura, per arrivare alla fine ad un autoritratto con figure, perché il suo rapporto con le immagini, che emergono nell'intrecciarsi e nel dipanarsi di questo racconto, finisce per delineare un vero e proprio autoritratto, ma anche, sullo sfondo e a lato, una serie di figure in cui egli si è specchiato riverberando la sua scrittura nello specchio della scrittura degli autori che ha amato, e che via via lo hanno accompagnato lungo tutta la sua vita. Il movimento della scrittura diventa così il movimento stesso dell'io che fluisce e muta continuamente, facendosi pluralità, un'incontenibile pluralità, in un serrato e ostinato interrogarsi sulla propria identità. E da questo interrogarsi sulla propria identità, che persiste con i suoi confini mutevoli e sfrangiati, che emerge anche l'esigenza di sporgersi verso l'identità dell'altro, "mio simile e mio fratello".