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2013, fine della Politica Agricola Comune (PAC) dell'Unione Europea? Molto bene, potremmo dire. Poiché, dopo tutto, i suoi danni sociali, ambientali e nei paesi del Sud forse non giustificano i 50 miliardi annui di questa politica europea. Non bisogna però dimenticare che la PAC, fondata cinquant'anni fa, aveva altri obiettivi: assicurare la sicurezza alimentare, la stabilità dei mercati e prezzi ragionevoli per i contadini come per i consumatori. Per questo occorreva attuare, a livello europeo, una regolamentazione forte dei mercati. A chi giova oggi il suo smantellamento, in un contesto di liberalizzazione dei mercati agricoli? Ai paesi esportatori più ricchi, che hanno costretto i paesi poveri a sopprimere le loro protezioni doganali, pur sostenendo con massicce sovvenzioni la propria esportazione agricola. Alle multinazionali, che ora possono rifornirsi a costi più bassi. Il 2008 e il 2009 sono stati segnati dalla crisi mondiale dei prezzi alimentari e dalle "rivolte della fame". L'Unione Europea non è forse una delle prime responsabili, trovandosi alla guida di organismi come l'OMC, la Banca Mondiale, il FMI, cantori della deregulation dei mercati agricoli? Lo smantellamento della PAC è uno dei passaggi centrali di questo gioco mortifero. Rifondare la PAC in favore di un'agricoltura contadina, ecologica e che offra lavoro e di una alimentazione di qualità per tutti: non è un'utopia, è una necessità, dinanzi alle crisi alimentare, ecologica ed economica.