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«Così questo fatto atteso e temuto era entrato nella nostra vita e probabilmente ne avvertimmo subito le conseguenze. Ignaro di tanto il pubblico che era seduto nei caffè e nelle birrerie passava serenamente quel tardo pomeriggio festivo» (Giaime Pintor, Doppio diario). «State tranquilli, non sarà poi una cosa lunga. E anzi prevedo che sarà più una scaramuccia che una guerra totale» (Lettera di un militare da Bolzano, 12 giugno 1940). Parole rubate dall'informatore, lettere intercettate, relazioni degli organi di polizia che registrano lo «stato d'animo della popolazione». Rimettendo ordine in questo enorme brusio di voci, l'autore è riuscito a ricostruire, quasi giorno per giorno, come la pensavano gli italiani sulla guerra: come vedevano i nemici, come giudicarono la campagna di Grecia, poi l'intervento russo e americano, come reagirono alle avvisaglie della sconfitta e ai bombardamenti delle città. E insieme, come ne sentivano parlare dalla propaganda, o dal cinema, come ne ridevano o cantavano. È, naturalmente, una parabola discendente, che disegna la progressiva perdita di credibilità del fascismo e lo scollamento della comunità nazionale fino alla crisi del 25 luglio e dell'8 settembre.