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Gli apologeti della modernità consumano voracemente il mondo e pensano di migliorarlo. Ma forse il nostro paese offre altri modelli culturali che vale la pena difendere. La sacertà della pausa e degli intervalli, il gusto della lentezza, il rispetto del limite non sono residui premoderni, ma elementi irrinunciabili di un'idea di ricchezza più matura, non schiacciata sull'unico indicatore del possesso di merci. È troppo chiedere di smettere di guardare a noi stessi come a un popolo attardato, a cui raddrizzare le zampe, da riformare all'infinito, per tentare inutilmente di renderlo uguale ad altri? Contro il mito efficientista e nevrotico della modernizzazione gli italiani non hanno solo da apprendere ma anche qualcosa da insegnare.