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Il volume, che raccoglie scritti pubblicati nell'arco di un cinquantennio (1956-2007) da Girolamo Arnaldi, assume quasi la fisionomia di un percorso autobiografico del grande medievista. Scrive l'autore, nella Premessa, che "Coloro che lo prenderanno in mano lo giudicheranno non tanto un indizio della mia varietà di interessi, quanto una prova schiacciante di un'invincibile tendenza alla dispersione". Tutt'altro, replica interiormente il lettore: la varietà dei contributi, del loro oggetto, del loro taglio, è semmai il segnale del respiro ampio di una vocazione a "guardare oltre i confini"; "i confini di una scuola, di una disciplina, di un territorio entro i quali si rischia altrimenti di rimanere imprigionati"; e sono parole dello stesso Arnaldi, che attribuisce questa sua vocazione alla libertà nella ricerca al clima respirato negli anni napoletani a palazzo Filomarino, all'Istituto italiano per gli studi storici che egli frequentò sotto la direzione di Federico Chabod.