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L'Italia ha portato avanti, negli anni Novanta, un piano di privatizzazioni secondo solo all'Inghilterra ed ha affidato la regolazione di molti settori ad autorità indipendenti dalla politica. Un cambiamento radicale del ruolo dello Stato nell'economia, enfatizzato facendo riferimento a una nuova costituzione economica. A distanza di quindici anni non è facile fare il punto della situazione perché il settore pubblico continua a offrire ai consumatori carburante ed elettricità, oltre che servizi postali e di trasporto; lo Stato continua a occuparsi di infrastrutture, di incentivi all'innovazione e alle energie rinnovabili. Dunque l'attuale sistema di governo si è assestato su un equilibrio che è ben lontano da quello a cui si ambiva: l'assetto regolatorio è incompleto, alcune società pubbliche sono gestite secondo una logica meramente privatistica, altre sono abbandonate alle loro inefficienze e persistono rendite significative. Un quadro in larga misura sconfortante che stride con l'idea che il nuovo assetto di governo dell'economia avrebbe permesso di liberare l'Italia da lacci e lacciuoli sprigionando energie positive per la crescita del paese.