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L'Italia è arrivata prima nel resto d'Europa riconoscendo l'importanza nell'attuale realtà economica delle reti di imprese, finalizzate alla competitività e allo sviluppo, disciplinandole normativamente e sostenendole fiscalmente. Nel giro di pochi anni si sono succeduti tre importanti interventi normativi: la L. 33/2009, la L. 99/2009 e il D.L. 78/2010 convertito in L. 122/2010 e la Legge sullo Statuto delle imprese n. 180 del 2011 oltre alla recentissima finanziaria 2012 con Decreto Legge 22 giugno 2012 n. 83. Nella definitiva veste, la rete perde l'aspetto istituzionale e diventa sempre più un contratto. L'esercizio in comune non è più l'unico oggetto del contratto di rete, ma ora c'è anche il collaborare (il che presuppone una partecipazione anche in quote diverse) e lo scambiarsi informazioni o prestazioni. Prima si partiva da una concezione più societaria, l'esercizio in comune, oggi si riparte da un qualcosa di più etereo: il collaborare. E questa 'leggerezza' si riflette nell'ampia libertà di struttura (e non di forme) che il Legislatore ha lasciato ai partecipanti. La rete potrà avere un massimo di struttura (S.p.A. che conferiscono un patrimonio destinato, organo comune e decisioni dei partecipanti) avvicinandosi di più ai modelli societari, oppure avere un minimo di struttura (un gruppo di imprenditori che collabora, senza patrimonio e senza organo comune, solo con le regole per le decisioni comuni).