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Hermann Hesse compie un viaggio in Asia che sarà determinante per la sua opera intera. Viaggia come quegli asiatici di cui ammira l'instancabile nomadismo. Viaggia soffrendo, magari (il caldo, gli insetti, la sporcizia, i ritardi), ma viaggia intensamente. Al ritmo giusto, degustando foresta per foresta, albero per albero, quasi foglia per foglia. E cercando il contatto umano non si mescola agli indigeni, pronto all'abiura europea come gli Stevenson e i Gauguin. Uomo delicato e nervoso, ancorché simpatizzante e quasi adepto, Hesse si mantiene tra amore e ironia, tra accettazione e gentile rifiuto, spinto dal desiderio di "tornare alla fonte della vita, dalla quale tutto ha avuto origine e che rappresenta l'eterna unità di tutti i fenomeni".