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L'omelia "Sul Natale del salvatore nostro Gesù Cristo", censita anche con il titolo "Sul Natale di Cristo", è un testo molto conosciuto nell'antichità, tanto che se ne conserva una versione in armeno e altre in arabo, siriaco, georgiano e paleoslavo. Fin dalle prime parole, il testo mette al centro il tema che l'attraversa per intero: il mistero che avvolge la nascita divino-umana di Gesù in relazione al cosa, al come e al perché. «Osservo un mistero strano e paradossale: le mie orecchie risuonano del canto dei pastori che con la zampogna non modulano una melodia solitaria ma intonano un inno celeste. Gli angeli cantano, gli arcangeli celebrano, i cherubini inneggiano, i serafini rendono gloria, tutti fanno festa vedendo Dio in terra e l'uomo nei cieli». Dio che si fa uomo e il parto della Vergine aprono conflitti nella mente umana, suscitano aporie, possono condurre allo scetticismo e al rifiuto. Un conflitto tra ragione e fede che richiede di «non indagare con discorsi» quella nascita, quanto piuttosto di venerarla in silenzio.