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Credere non è accettare passivamente il messaggio della fede solo per sentito dire, ma - ha scritto Edith Stein - «un essere toccati interiormente e uno sperimentare Dio». Se è così, allora la fede non è aderire in modo cieco a realtà impenetrabili per la mente né, tanto meno, accettare senza riscontri una presenza impalpabile e del tutto inaccessibile al sapere della pelle. Ma perché questo «vedere» e questo «toccare» possano davvero essere apprezzati nella loro profondità e nella loro sorprendente apertura è necessario affinare una sensibilità che consenta uno scambio affettivo e conoscitivo continuo e reciproco, una sorta di «sentire comunitario e partecipato», da cui dipende ogni altra esperienza del mondo e della vita, definito empatia. Attraverso questa «sensibilità condivisa» sarebbe dunque possibile arrivare perfino a «sentire Dio», quasi che si potesse avvertire il tocco della sua mano sulla propria pelle? Questa domanda, così decisiva, non si lascia risolvere in maniera teorica o meramente formale; essa è anche la sfida cui cerca di rispondere questo libro.