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"Ho veduto una sola volta l'unica, colei che la mia anima cercava, e la perfezione che noi collochiamo al di sopra delle stelle, che noi allontaniamo sino alla fine del tempo, questa perfezione l'ho sentita presente. Era là, questo essere supremo, là nella sfera dell'umana natura e delle cose esistenti. Non vi domando più dove essa è: è esistita nel mondo e può tornarvi; vi è soltanto nascosta. Non domando più che cosa sia, l'ho veduta, l'ho conosciuta. O voi, che cercate quanto vi è di più alto e di più perfetto, nella profondità della sapienza, nel tumulto dell'azione, nel buio del passato, nel labirinto del futuro, nelle tombe e al di sopra delle stelle! Conoscete il suo nome? Il nome di ciò che è uno e tutto? Il suo nome è bellezza." Si può dire che in queste parole, con cui Iperione rappresenta all'amico Bellarmino il suo primo incontro con Diotima, sia contenuta in nuce tutta la materia del grande romanzo nella versione di Giovanni Vittorio Amoretti. Pubblicato nella definitiva e matura redazione nel 1797-1799, "Iperione" è, accanto alle grandi liriche, alla tragedia dedicata alla figura di Empedocle e alle traduzioni da Sofocle, il raggiungimento poetico più alto del massimo spirito lirico che la Germania abbia avuto tra Goethe e Nietzsche.