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Una lettera anonima, e dentro una sola parola: "assassino". Questo basta a Lorenzo Girosa per tornare con la mente a un passato che credeva sepolto per sempre e che custodisce un terribile segreto. Ma, insieme al ricordo del crimine dimenticato, dalle pieghe del tempo riemerge un intero mondo, magico e disgraziato, abitato da personaggi in bilico tra l'incanto della fiaba e la durezza di una realtà avara di gioie e di figli. In un arco che dalla seconda metà dell'Ottocento arriva ai giorni nostri, come dentro una scatola magica del Mondo Novo incontriamo il Vecchio Girosa, pugile che fin da bambino si muove con la seria gravità di un adulto; i fratelli Domenico ed Enrico, destinati a esistenze opposte - uno all'inseguimento dell'avventura dalle trincee della Prima guerra mondiale alle coste promettenti della Merica; l'altro legato a una vita in chiave minore, tra i fumi della galleria in cui passa il treno e quelli degli alambicchi in cui fa sobbollire le erbe raccolte nei campi. E ancora una bambina colpita da un fulmine e dal dono maledetto di vedere il futuro; e poi Francesca, la madre del narratore, che "aveva da sempre pensieri di vento" ma finisce per metter su famiglia con Blacmàn, mangiafuoco fuori tempo massimo, "con quell'aspetto da zingaro quale in fondo era, da prestigiatore da quattro soldi: un uomo con mani grandi solo per suonartele, ma non per prendere la vita come si deve".