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Ben prima che la globalizzazione si imponesse come concetto comune presente in ogni discorso economico e politico contemporaneo, il mondo tra fine Ottocento e Novecento era già avvolto da un fitto tessuto di scambi sociali e culturali. "In un mondo sempre più piccolo" ricostruisce il ruolo delle istanze globali alla base di istituzioni regolatrici, dalla Società delle Nazioni al Comitato olimpico internazionale, all'Universal Postal Union, e mette a fuoco la dimensione transnazionale caratteristica delle reti sociali di classe, etniche, di genere, religiose, delle grandi manifestazioni espositive (le fiere mondiali, i musei), delle élite professionali di ingegneri, medici, scienziati sociali, urbanisti, dei mass media e delle culture del consumo. Queste correnti determinarono una modernità che sovrapponeva alla fede nella razionalità della scienza e della tecnologia l'attrazione emotiva dell'industria dello spettacolo. In un'epoca di nazionalismi e imperialismi, proprio questa polarità accompagnò ambizioni di espansione territoriale; inaugurando un mondo nuovo, in cui le tecnologie a diffusione mondiale (telegrafo, ferrovie, navi veloci, radio, aviazione, fotografia, cinema...) estesero il loro raggio d'azione, dando il via a una serie di rapidi e drastici cambiamenti. Spesso trascurate nelle storie dedicate agli stati-nazione, le correnti transnazionali evidenziano gli schemi irregolari delle trasformazioni globali, sottolineando la fluidità delle identità spaziali e personali nel periodo compreso tra il 1870 e la fine della seconda guerra mondiale.