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Quando Paolina scopre di essere incinta non ha niente e nessuno, solo tanti pensieri da mettere in fila, un giorno per decidere, e tre rose rosse ricevute in dono da una zingara. Investita di un compito più grande di lei, s'incammina per le strade di Roma invisibile al mondo, alla ricerca dei tre ragazzi con cui ha avuto una breve storia d'amore. Il primo è un punk che suona in un centro sociale, il secondo è un borghese che tira di scherma, il terzo è un amico pieno di problemi. Quando li trova, è ogni volta un incontro difficile, vibrante, deludente. Nessuno di loro vuole essere il padre di suo figlio: sono infelici, fragili, confusi, ma sono soprattutto così rassegnati da sentirsi già la vita alle spalle. Paolina si trascina per la città ancora più sola, in una giornata che sembra dilatarsi all'infinito, e che diventa ai suoi occhi attenti un immenso teatro in cui da sempre si ripete identica la stessa scena. Sarebbe bello sparire, pensa, o forse, nonostante tutto, incrociare uno sguardo «che la mantenga nel mondo», che le dica che in quel caos anche il suo esserci ha un senso. E così arriva la sera, il buio, la paura, e Paolina non può far altro che chiudere gli occhi, per difendersi dal mondo e rifugiarsi altrove, in un ricordo leggero che la porti via di lì. Ma all'alba, nella macchina parcheggiata in cui ha trascorso la notte, il cellulare suona. Ed è una telefonata assurda e miracolosa. Una voce sconosciuta che sa come proteggerla perché da sempre conosce la sua solitudine. E soprattutto quel vuoto incolmabile che la rende diversa eppure speciale, perché, le rivela, nel suo niente c'è coraggio, c'è il mondo intero, e tutta se stessa. Con parole cariche di poesia, Lodoli cuce in una storia il finito e l'infinito, la fragilità e l'assoluto, il tempo e l'eternità.