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I Gap, componente esigua ma rilevante del movimento di Resistenza, occupano un posto marginale nella memoria collettiva e nella storiografia resistenziale. Due ragioni spiegano tale marginalità: da un lato i Gap combattono secondo le modalità classiche del terrorismo, cioè con uccisioni mirate di singoli individui e con attentati dinamitardi; dall'altro sono organizzati e diretti dal Partito comunista, e dunque restano, durante e dopo la Resistenza, connotati politicamente in modo molto più marcato delle altre formazioni partigiane. Quella dei Gap viene dunque in prevalenza percepita come "un'altra storia", su cui si sono esercitati anatemi con più virulenza che sulla Resistenza in generale. Nell'immaginario collettivo, alcuni dei più intricati nodi politici ed etici della lotta resistenziale messi in evidenza dalla pratica del terrorismo urbano continuano, ancor oggi, ad essere schiacciati tra deprecazioni calunniose e acritiche esaltazioni, che prescindono da una reale conoscenza dei fatti. In questo libro, origini, sviluppo, difficoltà, successi e fallimenti dei Gap vengono analizzati nell'unico contesto che li rende comprensibili, nella storia della Resistenza. Le condizioni esistenziali e materiali nelle quali i Gap agiscono, le risorse di cui dispongono, la difficile decisione di uccidere a sangue freddo, e i diversi modi in cui si pongono il problema delle rappresaglie, della tortura, della morte, escono dal mito e dalla demonizzazione liquidatoria.