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"Che mi domando e dico: cos'ho mai fatto nella mia vita, oltre a scappare? Il Dante sorride tra sé mentre prova a rispondere... Che se la vita la fosse un catalogo, potrebbe scriverci: andato in guerra, dato lezioni, emigrato, sposato, diventato padre, ammalato, confinato, letto libri, scritto quatter patanflànn di poesie, viaggiato di notte su un camion per un sacco di riso e una tolla di latte condensato da portare alla Milena, urlato per i bombardamenti, gridato d'allegria nel sole di aprile, venduto libri, perduto il lavoro, finito sotto processo, ben pistaa in la pirotta, camminato... Insomma, una lista lunga, e non sempre di faccende volgari". Ma di tutto questo nella borsa "degli Avanzi" che porta a tracolla restano solo poveri "barlafus", destinati a finire insieme al Dante "in pasto ai vermi - ipotesi umile - o ai corvi - ipotesi romantica - o agli avvoltoi - ipotesi eroica - o ai piccioni - ipotesi terratèrra". Il Dante si sente diverso dalle altre lingére, che per paura e vergogna non amano mostrarsi e si rintanano nei loro cantucci. A fargli mantenere la testa alta è la cultura di cui nella sua famiglia adottiva si è nutrito fin da piccolo: non ha mai chiesto l'elemosina, e non frequenta neppure il refettorio della San Vincenzo; da quelle "dame del biscottino" "non ci va non ci va non ci va", perché dovrebbe in cambio fare il segno della croce. Lui preferisce accettare quello che la gente gli offre in cambio di un calembour, di una storia ben raccontata.