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Gli scritti del filosofo antifascista Eugenio Colorni rappresentano il punto di arrivo di un percorso intellettuale assai variegato e complesso. Solo parzialmente pubblicati subito dopo la Seconda guerra mondiale, essi contribuirono a destare l'interesse della cultura filosofica italiana, ancora condizionata dall'influenza di Croce e Gentile, per le questioni di metodologia e di filosofia della scienza. Nato a Milano nel 1909 da famiglia ebraica, allievo di Giuseppe Antonio Borgese e di Piero Martinetti, Colorni si accosta alla filosofia tramite una precoce lettura dell'estetica crociana e, fin da principio, ricerca nel pensiero di Leibniz lo stimolo per svincolarsi dall'eredità del neoidealismo. La svolta metodologica giunge però nella seconda metà degli anni Trenta, quando Colorni conosce a Trieste Umberto Saba, il "poeta libraio" che "parla il gergo della psicanalisi" e a cui egli attribuisce la guarigione dalla "malattia" della metafisica. Colorni accompagnò sempre l'attività filosofica, che pure considerava il suo primario interesse, con l'impegno politico antifascista. Arrestato come ebreo antifascista nel 1938, venne confinato sull'isola di Ventotene. Qui strinse amicizia con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, coi quali collaborò alla stesura del "Manifesto di Ventatene". Fu assassinato a Roma, nel 1944, da una squadraccia della Banda Koch, pochi giorni prima della liberazione della città. Nel 1946 gli venne conferita la medaglia d'oro al valor militare.