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C'è stato un tempo in cui il calcio era alla portata di tutti e a molti piaceva definirlo «lo sport del popolo». La propria squadra del cuore si seguiva allo stadio, le società vivevano del ricavato dei biglietti e la tv trasmetteva, gratis, solo i gol e qualche spezzone registrato delle partite di campionato e la diretta delle grandi sfide internazionali. Oggi è cambiato il mondo: i diritti televisivi, che hanno imposto una parabola su ogni tetto e portato il calcio in tutte le case, hanno sottratto il pallone alla sua dimensione «artigianale» per trasformarlo in un'industria multimiliardaria... ma sull'orlo del fallimento. Matteo Spaziante e Franco Vanni hanno unito le loro competenze per analizzare in modo scrupoloso e dettagliato i motivi che hanno condotto il «giocattolo più amato dagli italiani» vicino al punto di rottura. E compiono un viaggio nelle storture di un sistema che si regge sui pagherò, sul buon cuore di qualche ricco mecenate e su dinamiche geopolitiche che nulla hanno a che fare con lo sport. I tifosi, che di fatto sono chiamati a mantenere il carrozzone, sono spinti ai margini, a distanza da centri sportivi blindati e dai propri idoli, divenuti un'élite di privilegiati intoccabili che viaggia lontano anni luce dalla società reale. "Il calcio ha perso" si pone le numerose domande che assillano appassionati e addetti ai lavori: «Com'è nata, e subito naufragata, l'idea della Superlega? Perché le società di Serie A, indebitate per oltre 5 miliardi di euro, continuano a pagare ai calciatori stipendi milionari che non possono permettersi? Se il calcio europeo è davvero in crisi, come mai piace così tanto ai signori dei petrodollari? E chi sono davvero i procuratori, i veri signori del calcio moderno, trattati con deferenza dalle stesse società che tengono in scacco?». I due autori cercano le risposte nei numeri, nelle storie e nelle parole dei protagonisti. E dedicano questo libro ai tifosi che guardano le partite, che vanno allo stadio e trasmettono la passione ai propri figli. A chi, nonostante tutto, ci crede ancora.