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Siamo in un ristorante di lusso di Oslo, The Hills, dove il protagonista (un nevrotico con "una faccia da poker") svolge il suo lavoro di cameriere. Di lui sappiamo solo che ha un'aria nervosa, dei baffi ispidi e che non gli piacciono le sorprese o i cambiamenti. È un uomo di rigide routine che presta il suo servizio in modo poco appariscente. Ma questo non gli impedisce di osservare e descrivere con attenzione tutto quello che avviene nella sala del ristorante: il comportamento dei clienti abituali, dei suoi colleghi, il volto di Maître... Il ristorante è un baluardo della tradizione dove i clienti hanno a disposizione dei giornali da leggere, e dove gli odiati cellulari e social network sono visti con disprezzo come forme di "disgustosa contemporaneità". Poi, un giorno, fa la sua comparsa una giovane donna bella e dall'aspetto curato, che sconvolge il delicato equilibrio del ristorante e tutto ciò che è arrivato a rappresentare, gettando i primi semi del caos in questo universo fin troppo ordinato. Il cameriere si ritrova improvvisamente a commettere piccoli errori, a macchiarsi di piccole disattenzioni. L'intera facciata comincia a sgretolarsi e le certezze si dissolvono: a poco a poco si crea un'atmosfera oscuramente minacciosa di accenni e vaghi sospetti. L'impressione sempre più forte è che stia per succedere qualcosa: una profanazione, un incidente, forse un'aggressione, uno scoppio di violenza. Il microcosmo del ristorante fatto di tradizione e stabilità è una potente metafora di una società ammuffita, di un universo elitario che si aggrappa a vecchi valori in decomposizione. "Il cameriere" è un romanzo insolitamente felpato, sommesso e dai toni molto puliti, scritto da un autore notoriamente provocatorio come Faldbakken, che dipinge in modo enigmatico e irresistibile il tramonto di una società e i primi inquietanti bagliori di quello che verrà dopo di essa.