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Se c'è un'opera della letteratura russa che ha segnato - con la discontinuità propria del genio - una svolta decisiva, un vero "sparo nella notte", è "Evgenij Onegin": iniziato dal ribelle 'enfant prodige' della poesia russa nel 1823 e pubblicato in volume da uno scrittore maturo e affermato nel 1833, questo romanzo in versi è assolutamente innovativo e multiforme. Nei suoi otto capitoli Puskin narra le vicissitudini di un "giovin signore" dell'Impero zarista, un 'dandy' ozioso e disilluso, ma solo apparentemente vanesio: sotto la superficie egli cela infatti un dolore esistenziale profondo, uno spaesamento, un male di vivere insanabile che lo condurrà a rifiutare la felicità che amore e amicizia potrebbero dargli. È un racconto su un amore che ha fatto palpitare generazioni di lettori, e su molto altro: è in questi versi che la lingua letteraria russa, ancora in formazione, assume un volto e mostra le proprie possibilità, non senza misurarsi con i modelli dell'Europa occidentale. Ed è in queste pagine che la sensibilità ancora tipicamente romantica si apre a un più robusto realismo, spalancando davanti al lettore uno straordinario affresco dell'epoca di Puskin, con i suoi ideali, pregiudizi e conflitti. Molteplici sono state le interpretazioni dell'"Onegin" che, come tutti i veri classici, non finisce mai di dire quello che ha da dire. Questa nuova traduzione - che dell'originale restituisce il ritmo e la ricchezza linguistica - offre ancora una volta al lettore italiano del Ventunesimo secolo il piacere di immergersi nella Russia dell'Ottocento e di seguire il destino dei diversi personaggi fino a trovare il "suo" Onegin e la "sua" Tatjana.