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Considerata da molti critici il capolavoro di Sören Kierkegaard, "La malattia mortale" (1848) rappresenta l'opera forse più drammatica e sottile del pensatore danese, un fitto dialogo tra l'esistenza religiosa e la sua disperata negazione. La «malattia mortale» del titolo è proprio la disperazione come condizione dell'incompiutezza dell'individuo: malattia dello spirito, dell'io e al tempo stesso elemento indispensabile per divenire coscienti del significato eterno della propria esistenza. Il problema religioso acquista così centralità assoluta laddove viene descritto il tormento e lo squilibrio di un uomo che rifiuta di conoscere il rapporto che ha con il suo io eterno e di conseguenza con Dio.