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I libri IX-XII dell'"Odissea" sono forse i più famosi, quelli che i ceramisti dell'antichità rappresentarono insaziabilmente. Ulisse lascia il mondo eroico per penetrare nel dominio della favola, tra esseri demoniaci, giganti, dee-streghe, mostri marini e prodigi, e in pari tempo abbandona lo spazio geografico: la tempesta che lo trascina per nove giorni lo fa giungere dove si perdono le direzioni e non si distingue più tra l'occidente e l'aurora. Così conosciamo i Ciclopi; incontriamo Circe, demoniaca e soccorrevole, distante e calda. Giungiamo ai confini della vita: Ulisse fa parlare i morti come un negromante o uno sciamano; viene attratto dalla poesia stregonesca delle Sirene e soccombe all'ultima isola mitica, quella del Sole. Questo lungo viaggio nell'"oltre" è il più straordinario tentativo dell'uomo d'Occidente per razionalizzarlo, renderlo reale e quotidiano, epicizzarlo ma lasciargli il suo orrore.