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"L'Odissea" è il libro che ha più influito sulla psicologia e sulla letteratura europee: il libro senza il quale né Cervantes, né Defoe, né Stevenson, né Kafka, né Joyce avrebbero scritto i loro capolavori; il libro al quale l'Occidente ha affidato il senso più profondo della ricerca, del viaggio, della fantasia, del sogno, della lucidità, dell'ironia, della maschera, dell'infinita capacità di metamorfosi, che da trenta secoli lo distinguono; il libro al quale l'Occidente non può rinunciare senza uccidere sé stesso. A ogni verso siamo in preda all'avventura, alla magia, alla stregoneria, all'irreale, alla favola, all'immenso. I primi quattro canti ci offrono alcuni tra i passi più prodigiosi dell'"Odissea": ora nel registro famigliare - Euriclea che accompagna a letto Telemaco -, ora nel registro magico-favoloso - Proteo, il profetico Vecchio del mare, il dio della perenne metamorfosi (come Ulisse è l'uomo della metamorfosi perenne), che dorme, circondato dal suo gregge di foche.