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Intorno al 2110 a.C. il re mesopotamico Ur-Nammu promulga un sistema di leggi che sancisce i diritti dei membri più deboli della società: orfani, vedove e poveri. Tre secoli dopo il sovrano babilonese Hammurabi emana un codice in cui viene riconosciuta agli schiavi e alle donne la personalità giuridica. Nel 1222 Sundjata Keïta, primo imperatore del Mali, proclama "ai quattro angoli del mondo" l'abolizione della schiavitù e il rispetto dei valori inalienabili della vita umana, della libertà individuale, della giustizia e della solidarietà. Sono occorsi molti secoli e diverse rivoluzioni perché questi princìpi di validità universale fossero ripresi dall'Occidente e riformulati nelle varie "Dichiarazioni dei diritti dell'uomo", che hanno profondamente segnato la formazione della coscienza collettiva contemporanea. Eppure, ancora oggi nelle nostre democrazie, che si fregiano di Carte costituzionali liberali e garantiste, non mancano scenari desolanti di brutale sfruttamento dell'uomo sull'uomo e di diritti calpestati, mentre stanno nascendo nuove forme di schiavitù, più subdole ma non meno disumane di quelle di un tempo. Convinto che solo alla luce del passato è possibile guardare in modo costruttivo al presente, Louis Godart, studioso di civiltà antiche, ripercorre le fasi cruciali della guerra millenaria condotta dagli "apostoli dell'homo socialis" contro ogni tipo di sopraffazione e di ingiustizia.