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"Alcune mie vite" raccoglie i documenti dei tre processi, completi di tutti gli interrogatori. A delineare la personalità di Salamov, oltre ai suoi racconti su quelle vicende i rapporti informativi stilati dalle spie reclutate dalla polizia politica tra il 1956 e il 1959. Varlam Salamov, finisce in carcere, a soli ventidue anni, per i suoi legami con alcuni attivisti dell'opposizione leninista-trockista e per la stampa e la diffusione del "Testamento di Lenin", la lettera del padre della Rivoluzione nella quale sono espresse alcune riserve su Stalin e deportato in un campo di prigionia del Gulag sugli Urali, divenendo una delle prime vittime delle purghe staliniane. Nel 1931 torna a Mosca, dove collabora ad alcune riviste, scrive, si sposa e ha una figlia, mentre la polizia lo considera, a sua insaputa, un evaso: pende infatti sulla sua testa una condanna a tre anni di confino, che però nessuno gli ha notificato. Arrestato per la seconda volta nel 1937, viene mandato in Siberia nei campi di lavoro della Kolyma. Nuovamente processato nel 1943, è condannato a dieci anni di lavori forzati più cinque anni di privazione dei diritti civili per propaganda antisovietica. Rilasciato dopo la morte di Stalin, vivrà per altri ventinove anni un'esistenza precaria, segnata da problemi di salute, nonché dalla separazione dalla moglie e il rinnegamento della figlia, e però completamente assorbita dal lavoro sui "Racconti di Kolyma".