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Rimpiangere la "res publica", tornare a Roma. In questo, alla fine del secondo millennio, gli studi antichistici e quelli teorico-politici sembrano trovare una convergenza. Se Fergus Millar evidenzia gli elementi "democratici" della tarda repubblica, Philip Pettit e Quentin Skinner individuano una libertà "neoromana", ideale civico applicabile anche al presente. Ciò si scontra, per molti versi, con la "cesura" tra antichità e modernità politica, fatta spesso coincidere con il celebre discorso di Benjamin Constant sulla "Libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni" (1819). A ben guardare, però, il padre svizzero del liberalismo costituzionale si concentra soprattutto sulla Grecia, scissa tra la "quasi moderna" Atene e l'arretrata Sparta. E Roma? È su questo che il presente volume indaga, prendendo anche in considerazione i più recenti dibattiti nell'antichistica e nella teoria politica; punti di riferimento sono il pensiero di Constant, a sua volta oggetto di reinterpretazione, e le sue innumerevoli "ricadute".