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Quello che i castelli rappresentano per il Medioevo - inclusi i fantasmi - sono stati i Grand Hôtel nell'età della borghesia: dimore di una classe mobile, inquieta, protesa verso un futuro capace di soddisfare le promesse assicurate un tempo dalla fede religiosa. Da quei palazzi di sogno, che sorgono nel cuore delle capitali e sulle linee di frontiera dell'impero occidentale, era possibile sporgersi verso l'Altrove senza mettere a repentaglio la sicurezza fisica e lo status sociale. Letteratura e cinema ne hanno raccontato l'epopea con i toni della cronaca mondana, del racconto spionistico, dell'avventura. Il Grande Albergo delle Rose, nel cuore di Rodi, preserva fino a oggi la sua anima eccentrica e per la prima volta la fa parlare. Il regime fascista lo fece costruire nel 1927, quando l'isola, con tutto il Dodecaneso, era un "possedimento" italiano. Perno di una strategia di sviluppo basato sul turismo e, al tempo stesso, "vetrina" permanente dell'Italia nei paesi del Mediterraneo orientale, all'albergo e al suo casinò spettava anche il compito di raccogliere informazioni riservate e fornire una copertura ai traffici occulti della politica e dell'economia. Nel difficile quadro degli anni Trenta, intorno all'hotel si aggregò una vasta opera di innovazione capace di cambiare radicalmente l'aspetto di Rodi, conferendogli l'inconfondibile fisionomia attuale e preparando la fase del turismo di massa. Nei suoi saloni risuonarono le voci di molti personaggi celebri in tutti i campi. Nelle sue stanze si consumarono storie romantiche, come la luna di miele di una principessa irachena e di un povero ragazzo greco sposato di nascosto. Qui Joseph Goebbels, ministro della Propaganda nazista, rilasciò alla stampa feroci dichiarazioni antisemite. E sarà proprio nel Grande albergo delle Rose che Israele, nell'immediato dopoguerra, si guadagnerà un importante riconoscimento internazionale.