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L'eterna ricerca, il provare e riprovare, l'incapacità di venire a un compromesso con la società, i complessi di colpa, i dubbi e le ansietà, fecero di Gustav Mahler il profeta di un'età anch'essa carica di dubbi e di angosce. In altri tempi c'era almeno il conforto della religione. Mahler, l'ebreo passato al cattolicesimo senza diventare praticante, non riuscì a trovare una sola risposta alle mille domande che lo tormentavano. Il significato della vita ossessionò Mahler, che non cessava di porsi domande: ma domande tali da farlo apparire più un nevrotico che un vero pensatore. C'era qualcosa d'infantile in quei lamentosi interrogativi: «Donde veniamo? Dove ci porta la nostra strada? Ho veramente voluto io questa vita, come pensa Schopenhauer, prima ancora di essere concepito? Perché mi si fa credere di essere libero mentre sono costretto nel mio carattere come in una prigione? A che cosa servono tante pene e tanti dolori? Come posso capire la presenza della crudeltà e della malizia nella creazione di un Dio benevolo? Sarà finalmente rivelato dalla morte il senso della vita?» Perché, perché, perché?