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«Un giorno, io e la mia ragazza abbiamo detto basta alla vita di città. Abbiamo sentito il nostro bimbo e la nostra bimba lamentarsi perché avevano le mani sporche di terra, nonché una paura fottuta degli insetti e di rotolarsi nell'erba, e abbiamo deciso, in quell'esatto istante, che saremmo andati a vivere in campagna.» Con queste parole Massimiliano Loizzi ci introduce al suo "secondo capolavoro", un racconto tra satira e poesia di quella maledetta primavera in cui il mondo si è fermato. Non un romanzo sulla quarantena, ma un romanzo in quarantena. Abituato alla vita raminga della tournée, un attore può finalmente esaudire il desiderio di passare più tempo con i propri figli (anzi, con "il piccolino grande" e "la piccolina piccola"), che diventano il pubblico privilegiato della messa in scena di favole reinterpretate dal loro "papone" e compagni di avventure nel microcosmo del paese di campagna, popolato da personaggi in bilico tra realtà e fantasia «perché alla fine un uomo, o una donna, a furia di raccontare le sue storie, diventa quelle storie.»