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Attraverso un atto di appello immaginario viene raccontata la storia di Mario Federici, condannato in primo grado per aver schiaffeggiato una donna in circostanze tutte da chiarire. Nello scritto, il difensore di Federici si impegna a dimostrare come lo schiaffo non fu un gesto violento, ma un atto volto a rianimare la persona offesa da un momento di scollamento dalla realtà. Non c'era volontà di offendere, ma solo di scongiurare una situazione di pericolo dai contorni enigmatici.