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Una regione-paese, una terra-continente che non custodisce ma possiede. Molti laghi, colline, pianure, pendici, distese lungo cui il Mediterraneo comincia a fornire ampi indizi su ciò che succederà (al paesaggio) al di sotto di quel parallelo. Ma anche crepe e dolori, abbandoni e diserzioni, la scomunica di trovarsi a poca distanza dalla città più bella al mondo, la condanna di vivere nel suo cono d'ombra. Il Lazio è una delle regioni più ingombranti e importanti d'Italia, ma sono in pochi a conoscerla come meriterebbe: al netto del fard che si dà tutte le volte che le vengono scattate delle foto. Una orografia straordinariamente ricca e un'antropologia molto antica, caratterizzata da gente tutto sommato semplice anche se afflitta dal peso di incarnare l'eterna periferia dell'impero, raccontano di un popolo che avrebbe molto da dire anche al di là del Grande raccordo anulare. Dalla bonifica fascista ai paesi fantasmi lungo i colli, dai laghi vulcanici (che fino a non molto tempo fa sembravano un inutile ingombro) alle anime contadine che abitano ai bordi della Capitale. Il vero Lazio è tutt'altro che una cartolina dialettale. È una pentola saporita, che borbotta inascoltata.