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Negli anni ho maturato una convinzione (una mia teoria letteraria): chi scrive - qualunque tipo di genere - bene o male, finisce sempre per dire più o meno le stesse cose. Non è assolutamente un limite, sia bene inteso. Si tratta soltanto di un dato di fatto. Del resto è risaputo: la scrittura - o, se preferite, la letteratura - da sempre ripete se stessa. Ne consegue che a essere davvero importante non è il cosa, bensì il come. Mi si passi, come esemplificazione, una metafora culinaria: non importa la zuppa in sé, ma il modo in cui la zuppa viene cucinata (dosi, ingredienti, fasi della preparazione). Direi che questo discorso può tranquillamente essere applicato alle poesie di Antonella Carbone. Non è tanto quello che dice, quanto piuttosto come lo dice. In questa silloge il lettore troverà le ossessioni tematiche anche nelle precedenti raccolte. Con le necessarie e inevitabili variazioni sul tema. E dunque ecco le radici della poetessa, entità indissolubile dalla terra che l'ha generata.