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Con il suo stile sempre riflessivo e sincero, Rosaria Jannace inizia la sua nuova opera letteraria all'insegna di una fine che in realtà è il vero inizio. Se, infatti, nei racconti e nelle favole, arrivati al matrimonio tutto si ferma, come se fosse stato raggiunto il tanto agognato "traguardo", ecco che la nostra Rosaria ribalta la situazione e proprio dal vissero felici e contenti parte con il suo romanzo autobiografico su quel dopo che tanto semplice mai è e che anzi spesso si rivela un ingarbugliatissimo gioco ad ostacoli... nella migliore delle ipotesi. Dopo aver narrato la sua giovinezza nel suo primo romanzo, Napoli e la mia verità, eccola nuovamente alle prese con un romanzo nuovamente introspettivo, ma anche più maturo, in cui fa una sorta di bilancio della sua vita attraverso gli eventi trascorsi, poiché «nel resto del racconto della mia vita, molte sono state le difficoltà da superare, le incomprensioni con il marito, la povertà, le malattie, le ingiustizie, le gelosie e tante frustrazioni da parte di parenti e amici; ma anche tante le gioie, soprattutto la maternità, dove i figli rappresentano la gioia più grande per una mamma, ma anche il diploma di lavoro, l'affetto di altri parenti e di altri amici». Un bilancio, dunque, che non risulta assolutamente amaro e che anzi, invece, mette in evidenza quelle doti che riusciamo a scorgere nella scrittura della nostra Rosaria: amore, passione, impegno, costanza, una dedizione che va oltre gli eventi, va persino oltre se stessa. Una grazia che l'autrice sente derivare direttamente dal Buon Dio, compagno fedelissimo da sempre, che si conferma per lei una roccia a cui aggrapparsi con tutte le sue forze, soprattutto nei momenti più oscuri.