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Deluso e solitario, Arthur-Xavier de Vismes passeggia sulla sponda di un lago ai margini della foresta di Brocéliande, quando l'incontro apparentemente casuale con uno sconosciuto lo porta a guardarsi indietro e a ripercorrere i suoi settant'anni di vita in un viaggio doloroso, a tratti angosciante, che lo costringerà a rivivere e a soppesare tutti gli affetti, le passioni, gli amori, gli slanci con cui credeva di averla riempita. Arthur-Xavier si trova così a dover dissipare la muraglia di autoinganni faticosamente innalzata nel corso di un'intera vita, e a fronteggiare l'unica realtà, terribile e spietata, che ogni uomo si sforza di negare: il male è in ogni nostra azione, in ogni sentimento e pensiero, negli angoli più remoti della nostra esistenza. Ma ciò che questa lucida autoanalisi della natura umana finisce per rivelare, paradossalmente, è che c'è anche, nel male, una sorta di necessità, perché dissipa i rimpianti e ci affida, se siamo in grado di comprenderlo, al mondo che accompagna e fiancheggia la vita: quello del pensiero, dell'arte, dello spirito; a tutto ciò che ci consente di costruire un'anima all'interno della nostra ecologia profonda.